I “Gioielli carnali” di Claudio Marchese e Riccardo Di Salvo

A novembre del 2011, Antonello Lenza, attivista del Milk, pubblicò questo splendido saggio, che abbiamo deciso di salvare ora che il milk ha chiuso.

Quando la scrittura narra il sesso: i “Gioielli carnali” di Claudio Marchese e Riccardo Di Salvo

“Gioielli carnali” (Forlì, Zoe, 2003: 83pp.) è un breve romanzo erotico scritto in un linguaggio ricercato e ‘barocco’,al tempo pornografico e letterario, esempio di una scrittura “alla Cocteau” – quella de Il Libro bianco – o “alla Genet”, classici ai quali Claudio Marchese e Riccardo Di Salvo sembrano più o meno apertamente affiliarsi.

Non manca nemmeno il richiamo a Bataille, quello della Storia dell’occhio e dell’Erotismo, come il capitolo “L’ano solare” dichiaratamente conferma. Del resto, è fin troppo evidente il richiamo alla scrittura batailleiana in considerazioni, congeniali alla struttura narrativa, come questa: “Il sesso è davvero l’ombelico del mondo.

Gioielli carnali

Porta a galla fondali di energia, li fa esplodere, li trasforma in movimento.” (Gioielli carnali, p. 13) Ma ancor di più: “Lo splendore dell’ano era per me la visione di un mondo in cui tutto appariva in una luce di strepitosa bellezza.” (Op. cit., p. 59) La narrazione prende le mosse in una Milano post-industriale – Città Morta, come viene ripetutamente definita – o meglio nella sua periferia, descritta con toni anomici e spaesanti dall’io narrante: “Estrema periferia di Milano, capitale dell’Impero.

Nella sua ombra paludosa uomini simili a manichini si aggirano spaesati, il loro movimento si irrigidisce, diventano scatole o congegni a orologeria.” (Ib., p.11) È la Milano della Stazione Centrale, di via Vitruvio e di via Sammartini, dei suoi Navigli e di Città Studi; è la città liminale ed edonista.

È la metropoli del Nord, grigia e nebbiosa, segnata dall’anomia e dall’anonimato dei rapporti interpersonali. Soprattutto dall’occasionalità degli incontri sessuali. Con ragazzi disponibili, marginali e prostituti, come anche con pornostar nel capitolo “Diva ti amo.”

La vicenda è quella di uno scrittore fallito, un libertino, che dal Sud si trasferisce al Nord, da una città della profonda provincia italiana, quale è Catania, nella capitale dell’Impero finanziario, appunto Milano. Si tratta di una sorta di Diario nel quale tutto ruota attorno al sesso e ai ‘luoghi’-‘non luoghi’ deputati ad esso: dai cessi alle saune, dalle dark-rooms ai cinemetti, dalle camere degli alberghi ad ore fino alle hot line. Il posto occupato in questo scenario post-moderno dal soggetto narrante sembra confermare il suo autentico destino di flaneur: “Sono uno sperduto navigatore del quotidiano, strappato alla noia di Città Morta, buco nero sulla carta geografica” (ib., p. 17) Ma questo nomade del quotidiano non è più il bohemienne di baudelaireiana memoria, ma si avvicina molto di più al Ladro di Genet: soggetto liminale e pansessuale, consacrato al vitalismo in senso pieno e pronto a ricavare dalla vita tout-court le esperienze sessuali più disparate.

È alla dimensione geografica che dobbiamo rivolgere l’attenzione per inoltrarci nella struttura narrativa erotica e spaesante di “Gioielli carnali” allorché, al livore di Città Morta, si contrappone la natia Catania in un assolato flash-back nel capitolo “Il giardino delle delizie”: “[…] mille colori di ciclamini, primule, viole e gemme spuntate sui rami vestivano aiuole e sentieri. Cominciai a passeggiare, follemente inebriato dai colori naturali e da quelli artificiali che coprivano il mio passaggio.

Un intreccio iridescente come l’arcobaleno di coriandoli e stelle filanti.” (ib., p. 24) I ricordi dell’io narrante legati alla Sicilia e alla solare Catania – colte nel momento in cui la Natura si risveglia, nella Primavera – riaffiorano pervasi da un senso panico della vita in tutte le sue istanze: “Abbagliato dal sole che esaltava il verde selvaggio delle piante, mi sentii posseduto da una forza sovrumana.

Come se la mia vita carnale si fondesse con quella vegetale, in un unico flusso di sensazioni che scorreva indistinto tra la mia pelle e le foglie.” (ib. P. 35) Il mondo mediterraneo – la “zona sodatica” la chiamerebbe Burton – è anche il topos delle prime esperienze sessuali, quelle di scoperta del proprio sé. “Divini” e “mortali” trovano il loro punto d’incontro in questa terra primigenia e i Giardini Bellini di Catania si possono trasfigurare in un luogo sospeso tra Terra e Cielo: “Sullo sfondo lo scenario dell’Etna spruzzato di neve splendeva nitido e cristallino, lasciando tracce glaciali nel molle incanto della stagione che risveglia la festa dei sensi. Mi sentii posseduto da un’energia immensa, la stessa esplosione d’istinto e di fantasia che si agitava nell’Eros divino, nel tempo immortale degli dei. Il nastro luminoso che si snodava davanti a me, dalla cima del vulcano alle aiuole del giardino, apparteneva ai signori del cielo, della terra e del mare. Erano loro che grazie alla potenza multiforme di cui erano dotati, ci davano l’istinto e la fantasia, il sesso e la creatività.” (ib., p. 28) La Sicilia come luogo delle origini, come terra del Mito, fonte del vitalismo esiste nei ricordi del soggetto narrante anche con tutti i limiti e le contraddizioni – tipiche della cultura provinciale italiana – nel vivere la propria omosessualità. Da sempre il motivo principale per emigrare al Nord. Il viaggio da Milano a Parigi, un viaggio d’antan perché effettuato ancora in treno nel capitolo “L’adorabile fessura”, è necessario per la costruzione di una geografia del desiderio.

Perché la capitale francese incarna la Città letteraria per eccellenza, raffinata e cosmopolita, estetizzante e aperta a qualunque esperienza sessuale. Ecco che Parigi, colta nella stagione invernale “[…] è una ricca signora vestita di ermellino e di diamanti. Sono solo, ma in questa città la solitudine è voluttuosa.

Tutto parla di sesso, i suoi colori smaltati come le tele di Matisse, le sue luci che piovono sulla pelle come una cascata di profumo Kouros, i suoi boulevard dove le foglie morte sono un tripudio di colore, i suoi bistrot dove due gocce di cognac ti danno l’energia travolgente di una ballerina di can-can.” (ib., pp. 51-52) Estetismo, erotismo, trasgressione: gli elementi della “parte maledetta” della letteratura ci sono tutti.

“Le strade di notte sono un oceano di tentazioni. Dovrei spogliarmi, mostrarmi nudo, ogni volta che le percorro o presentarmi in giacca e cravatta davanti ai gigolo che passeggiano tra il crocevia Poissonnière e rue Saint-Denis […] A Parigi in mezzo ad uno sciame di ragazzi che mi mostrano la lingua, scelgo un gigolo in jeans e blouson di plastica. Mi emoziona la sua bellezza michelangiolesca.” (ib., p. 52) Se tutto parla di sesso, nella capitale francese l’erotismo può finalmente ri-trovare la sua vena artistica.

Se non altro la sua istanza nobilitante, quella più colta. Eppure l’Italia resta il luogo d’elezione di questa topologia del desiderio. Come avviene nella grazia barocca di una Roma autunnale: “Turista senza meta, dalle parti di Piazza Navona, passeggiavo nel dedalo delle vie che disegnavano il cuore barocco della città. Il sole scendeva come un pulviscolo dorato che mi accarezzava la pelle e stendeva un alone luminoso, lungo il corteo dei miei passi.

Quasi infinito, aereo.” (ib. p.70) All’estetica si aggiunge la nozione di ex-statico: nella Città Eterna il sesso si mischia al sacro e la parabola della carne può dirsi completata. Tutto racconta di sesso in questo “Gioielli carnali” eppure in questo tentativo di decodifica si è preferito privilegiare i ‘luoghi’ della narrazione letteraria anziché le prodezze della carne e dei suoi ‘gioielli’: potrebbe esserci invito migliore alla sua lettura per tutti coloro ‘che sanno cambiare pelle’?

Antonello Lenza

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