Cosa si intende per linguaggio inclusivo?
Il linguaggio è un virus. Si tratta di un’espressione di William Burroughs, usata per definire il linguaggio come un flusso di informazioni, in grado di modificare i corpi e i sistemi relazionali secondo proprie logiche interne. Secondo questa visione il linguaggio, anche quando apparentemente sembra innocuo nelle intenzioni, potrebbe diventare un’arma, grazie al tranello dell’abuso o della banalizzazione di condizioni invisibili, ma invalidanti, come i disturbi mentali.
Come si supera questo impasse? Ripensando il linguaggio e rendendolo inclusivo, attraverso, quelle che Alexa Pantella definisce le tre i, ossia interrogarsi sul significato delle nostre parole e su ciò che vogliamo comunicare, impatto, ovvero gli effetti che le nostre parole sugli altri e l’io ovvero le nostre emozioni e il modo in cui è possibile comunicarle.
Perché si usa la ə?
Il linguaggio cambia di pari passo con la società. A dimostrazione di ciò possiamo considerare alcuni studi del 2017 e del 2019, che sebbene focalizzati sull’America, mostrano l’utilizzo di un linguaggio diverso tra la Gen Z come l’utilizzo del singolare they, che travalica il rigido binomio maschio/femmina. Anche in Italia ci sono stati dei cambiamenti significativi. Difatti un numero considerevole di adolescenti si definisce gender‑fluid e sfrutta gli strumenti seriali per rappresentare un mondo diverso. Basti pensare a Prisma.
Che piaccia o meno, le persone che si riconoscono in un genere non binario esistono e meritano di far parte della società della comunicazione. Come scriventi, professionisti o meno, non possiamo ignorarle a piè pari. Il punto è: come ci riferiamo a loro? L’italiano non possiede forme consolidate per riferirsi a genere oltre quelli binari, per questo si sono sviluppate una serie di soluzioni tra le quali rientra anche lo schwa(ə).
Cos’è la ə: significato e definizione della schwa
Si tratta di uno strumento da usare come desinenza nei plurali per le persone non binarie. Luca Boschetti, curatore del sito Italiano inclusivo, fu il primo ad usarlo per iscritto nel 2015. Nello stesso periodo tale proposta è stata seguita da attivisti della comunità LGBTQIA+. Poi ne ha parlato anche la linguista e divulgatrice Vera Gheno. Gheno ha definito l’suo dello schwa una soluzione più efficace, rispetto all’asterisco e alla desinenza in u.
La linguista ne ha individuato anche alcuni limiti. Basti pensare alla mancanza dell’ə sulle tastiere dei computer, oppure alle difficoltà nella lettura che potrebbe portare alle persone dislessiche, ipovedenti o non vedenti. Nonostante questo, le desinenze hanno iniziato a diffondersi anche fuori dalla cerchia di chi fa attivismo. Si pensi solo alla Mondadori, che ha usato queste desinenze per due romanzi, ambientati nel mondo di Star Wars, per parlare di persone non binarie.
In definitiva si tratta di un allenamento continuo che solo se perseguito nel quotidiano ci permetterà di vedere lo ə come un mezzo comunicativo e non solo come una forma di sperimentazione.