Il testo del Maneskin parla del nuovo Olimpo

Il testo di Torna a casa dei Måneskin parla del nuovo Olimpo.  Il sound è piacevole, pulito e semplice. Dopo il terzo ascolto della canzone – la radio la mandava in onda ‘spesso’- una domanda comincia a prender posto in testa:

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Torna a casa dei Maneskin: chi è Marlena?

Capisco che è un’entità generosa, vitale e imprevedibile, un’entità che, quando alzi lo sguardo oltre il naso, è probabile INCONTRARE ma raramente riconoscere.
Siamo educati a guardare per categorie e ciò che oggi spesso inquieta molti è non riuscire a leggere con le proprie categorie il reale. Marlena pare abiti proprio il mondo del rimosso e dell’innominato.
Forse Marlena è qualcosa che manca e a cui aneliamo.
Torna a casa dei Maneskin parla del nuovo Olimpo


“Perché la vita, senza te, non può essere perfetta”


Come l’Olimpo classico rispecchiava le aspirazioni di armonia del mondo classico,  anche l’Olimpo del postmoderno rispecchia la nostra ricerca di integrazione.  Perfezione è compimento e realizzazione, è aderenza tra idea e realtà. Cosa fare se invece il linguaggio, che disegna il reale, proprio non riesce a diventare la realtà?
Comincia la ricerca di un linguaggio che possa raccontare ciò che siamo. Fioriscono parole e desinenze con cui il ‘politicamente corretto’ cerca di correggere l’imperfezione che genera esclusione di pezzi di Noi e quindi del reale.
Allora è così: quando il linguaggio comprenderà la realtà, Marlena tornerà a casa?


Torna a casa testo: può il linguaggio compiere la realtà?

I tanti pezzi che ci compiono come persone, rendendoci ‘perfetti’, il nostro linguaggio non riesce proprio a indicarli senza paradossi e contraddizioni.


Cantano i Maneskin “Voglio arrivare fin dove l’occhio umano si interrompe”

Non parlo del ‘possiamo essere’ che il virtuale ci regala, ma della molteplicità tutta scritta sui e nei nostri Corpi. Ci hanno insegnato che siamo individui a cui la nostra identità è legata e da cui dipende, ma l’entità individuale non ce la fa a contenere il flusso che ci attraversa in ogni istante, nutrito dai nostri sensi e dalla nostra memoria corporea. Allora tutto quello che non è contenuto nel linguaggio, diventa desiderio e nostalgia, se non addirittura rimosso e demonizzato  e fatto dimorare nel calderone delle nostre paure come minaccia alla nostra ‘perfezione’.

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La scorrettezza della Perfezione: perché la vita senza te non può essere perfetta

Il nostro spazio, oggi, è così pieno di stimoli, di segni e di informazioni da sembrare sempre gravido della ‘grande soluzione’: il ritorno di Marlena a casa, l’azzeramento della distanza tra Noi e le parole che ci raccontano.
Una foglia è la foglia, non tutte le foglie, ma proprio ‘questa’ foglia. Noi vorremmo che il linguaggio ci riconoscesse non come categoria ma come entità pulsanti dell’esserci. Altrimenti

“…ho paura di sparire”


Eppure Lei non torna a casa.
Marlena è Dea che si palesa in ciò che stona, disturba la simmetria, spezza la linearità ed è politicamente, indecentemente scorretta perché imbarazzante per la maggioranza nonché per i nostri ego abituati al narcisismo che la società promulga a piene mani.

Eterno Horror vacui: chi è Marlena per i Maneskin

Marlena è corpo e voce di ciò che di Noi il linguaggio non riesce a contenere.
Se Marlena tornasse a casa, varcata la soglia sparirebbe, sguscerebbe via.

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Colpisce nel segno quel Refrain

E così, quel Refrain, si attacca ai nostri sensi, ed è il senso di mancanza e di un vuoto, eco di un’occasione perduta e di un destino irraggiungibile.
Credo che non sia il linguaggio a poter colmare quel vuoto, lo può solo lo sguardo dell’Altro,
non stiamo in una rete fitta di relazione, noi SIAMO quella rete e in questa rete ci sono due fili:
uno ti porta a casa, dove tutto ti rispecchia, e l’altro ti porta fuori a con-fonderti con l’Altro

“Nel dubbio che fosse morte oppure rinascita”


La morte forse è quella dell’Io, che diventa ‘NoiAltri’ frutto delle nostre relazioni e della storia molteplice che siamo.

Dedicato a chi dimentica di alzar lo sguardo oltre il naso e sceglie di non guardare l’Altro per la paura di perdersi nella meravigliosa imperfezione che siamo.

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