Il 13 settembre Mahsa Amini è stata prelevata dalla polizia morale nella città di Teheran.
È stata portata in caserma al fine di essere “ri-educata” a causa della sua condotta immorale e dopo solo due ore è stata trasportata d’urgenza in ospedale, in coma.
In ospedale è morta a causa delle lesioni riportate dopo il suo arresto, a 22 anni.
Dopo quanto accaduto, migliaia di persone si sono riversate nelle strade e nelle piazze iraniane e non solo.
Sono stati bruciati veli in simbolo di protesta, sono stati alzati cori per gridare il nome di chi una voce non la aveva più. Gli scontri con le forze dell’ordine hanno portato all’uccisione di almeno 50 persone, tra manifestanti e civili (anche bambini). Oggi anche l’attivista ventenne Hadis Najafi è stata uccisa dalla polizia con sei colpi di arma da fuoco durante una delle proteste.
Mahsa Amini è stata uccisa perché donna
Mahsa Amini è stata uccisa, picchiata fino alla morte perché il velo sul suo capo non era posto in maniera corretta e i suoi capelli non integralmente coperti.
In Iran si muore a vent’anni per una ciocca di capelli e questa potrebbe essere la notizia scandalosa, il motivo di innaturale torsione della bocca dello stomaco, come dell’animo, che ci coglie nel momento in cui leggiamo queste parole.
Ma non c’è nessuna notizia, non c’è nessun abominio in qualcosa che è consuetudine.
Non vogliamo leggere di pugni nel ventre figurati, non vogliamo guardare i vostri post sui social fatti dei capelli delle donne, tagliati per lotta, tra le lacrime che non potete fare vostre.
In Iran, in Italia si muore perché si è donne e questa non è una notizia.
Non si muore perché “quelli sono pazzi”, non si muore solo perché si è sotto un particolare regime religioso o politico.
Tutti quei regimi, tutte quelle regole sociali, non sono lontane anni luce come vi piace pensare.
Sono già tutti qui, ad uno sguardo di distanza, lo stesso, pieno di odio misto a desiderio, che tutte noi ci sentiamo addosso da quando siamo poco più che bambine.
Si vive sotto il peso degli uomini, come patriarcato vuole.
Si muore, anche in Italia, perché si ha la colpa di avere e mostrare un corpo che è terreno politico, che ricorda ormai solo una trincea.
Si muore nella necessità di una cultura violenta e patriarcale di mutilare carni e diritti, si schiaccia la libera scelta, l’autodeterminazione, ci si nasconde (e spesso neppure) dietro una fittizia promessa di parità, di rispetto e di amore perfino.
Cade piano sui corpi delle donne un abito di violenza, un panneggio fidiaco scolpito da chi grida da un palco o a un microfono di come vuole proteggerci, mentre mistifica un’oppressione.
Rispettate, amate, validate fino a quando non si vuole essere persone.
Vive se modulate e modulabili in una determinata forma e con determinati contenuti.
Mahsa Amini: se il velo non ti copre i capelli ti rieducano fino a farti crepare
Non uscire da sola, non in certe zone, non vestita in certi modi. Stai attenta, sempre.
E sai perché?
Se vai in giro mezza nuda sei una troia, se ti stuprano te la cerchi.
Abbassa lo sguardo, fingi di stare al telefono, cammina con le chiavi tra le dita.
Non rispondere se ti molestano verbalmente, ché in giro e pieno di pazzi e se ti ammazzano di botte poi?
Non denunciare non ti crederanno.
Denunci? E perché non l’hai fatto prima? Perché ti inventi le cose e perché vuoi rovinare la vita di un uomo? Quella chissà come ci è arrivata a fare quel lavoro, con chi è andata a letto?
Non si possono più fare nemmeno i complimenti, non si può più dire niente.
Se il velo non ti copre i capelli ti rieducano fino a farti crepare, se manifesti contro il femminicidio e per i diritti delle donne ti ammazzano a vent’anni.
Se lasci la porta socchiusa in un bagno a Torino ti stuprano e vengono assolti perché per la Corte d’Appello era “un invito ad osare”.
Le vite si spezzano un diritto alla volta, si spezzano i corpi e le identità.
Si apre piano sulle nostre teste una forbice di repressione e di violenza, si chiude poi con un colpo secco come appunto solo quello del boia: per ucciderle tutte, una ciocca di capelli alla volta.
L’Iran è un Belpaese, da domani un passo più vicini.
Giovanna Conte

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