Non binarismo nella poesia russa di fine secolo: il caso di Z. N. Gippius

Verso la fine del XIX secolo, iniziarono a comparire in Russia le prime rivendicazioni delle donne artiste. Da muse silenziose e oggetti di contemplazione dell’uomo, ora anche le donne chiedevano di essere riconosciute come artiste. Ma il mondo dell’arte era dominato da uomini e questi ultimi non accettarono di buon grado tali rivendicazioni. Per far intendere che la ‘vera arte’ fosse solamente quella creata da uomini, venne creata la categoria della “scrittura femminile”, che era ritenuta inferiore. Tale atteggiamento portò molte autrici a pubblicare sotto pseudonimo maschile, pur reclamando il non binarismo nella letteratura russa.

 

non binarismo: foto di Zinaida Gippius
Foto di Z. N. Gippius (1900). Wrjohnson1, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons.

 

Il non binarismo dell’arte secondo Gippius

In tale contesto fu di grande rilievo la figura di Zinaida Gippius, poeta di spicco del Simbolismo russo e persona nonbinary. Nei saggi pubblicati sulle riviste letterarie più importanti dell’epoca, Gippius parla del non binarismo dell’arte, in quanto l’arte non ha genere: non è né maschile né femminile. Basti pensare che in russo la parola è di genere neutro! Così Gippius rifiutava d’identificarsi sia nella scrittura femminile, sia di essere chiamatə “poetessa”. Non si identificava nemmeno nel genere femminile.

“Se potete, rispondete solo a questo:
donna voi siete? Siete un ‘lui’ o una ‘lei’?”
Nessuna risposta. L’Ombra scivolava
silenziosa fra le onde infernali e nero fumo.
Dopo un po’, lanciandogli uno sguardo,
disse: “Ma cosa dite! È avventato

usare qui parole superflue, dovete
discernere il futile dall’importante.”

 

(Z. N. Gippius. L’ultimo Cerchio, traduzione di A. Gallia)

Nelle sue poesie, il non binarismo viene espresso attraverso giochi di sostituzione che celano il genere dell’io lirico, per esempio attraverso forme agender o pronomi maschili. Per lo stesso motivo, il poeta si firmava come Z. N. Gippius per non essere identificato come donna. Essendo straniero, il suo cognome non acquisiva neanche la declinazione al femminile tipica dei cognomi russi.

Il concetto di androgino

Nel suo diario Gippius afferma di credere nella teoria del “terzo sesso” di O. Weininger. Secondo questa teoria, il genere maschile e femminile sarebbero mescolati tra loro, formando il genere neutro. Gippius rielabora questa teoria e la chiama androginia, condizione nella quale vede se stessə:

“Nei miei pensieri, nei miei desideri, nello spirito sono maggiormente un uomo; nel corpo sono più una donna. Essi sono tuttavia talmente fusi insieme, che non so riconoscerli.”

 

(Z. N. Gippius)

Il concetto di androgino elaborato da Gippius introduceva il genere come costrutto sociale, evidenziando quanto fosse influenzato da stereotipi. Gippius, inoltre, cercava di rompere tali stereotipi attraverso il cross-dressing.

Le maschere di Gippius: il dandy e la femme fatale

Come poeta e criticə letterariə, Gippius amava giocare con l’ambiguità e i contrasti. Nei saloni letterari amava vestirsi da uomo, mentre negli articoli di critica si firmava spesso con diversi pseudonimi maschili. Attraverso questi pseudonimi riusciva a esprimere una personalità da dandy sarcastico e sprezzante.

Non binarismo nella poesia russa di fine secolo: il caso di Z. N. Gippius
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/85/Z._Gippius_by_L.Bakst_%281906%2C_Tretyakov_gallery%29.jpg

In Contes d’amour, diario scritto tra il 1893 e il 1904, Gippius riflette sulla sua continua oscillazione tra maschile e femminile. Qui la voce narrante è femminile, ma esibisce un atteggiamento libertino da Don Giovanni: è attratta dalle donne, ma allo stesso tempo le respinge. Ciò trasforma questo diario nel famoso “diario delle conquiste“, il taccuino in cui i dandy annotavano le loro avventure amorose.

Nel diario vengono così raccontati i viaggi di Gippius nel Caucaso, a Mosca, San Pietroburgo, Taormina, Roma e Firenze e dellə variə amanti che ha avuto. Tra lə amanti, il più interessante è Henri Briquet (gay), dandy nel quale Gippius vedeva la propria versione maschile. Gippius prova a spiegare la sua attrazione per i gay come un desiderio di “bisessualità”, concepita dal poeta come il riconoscersi contemporaneamente in due generi.

Oltre a mostrarsi come dandy, nei saloni letterari Gippius vestiva anche i panni della femme fatale, indossando abiti succinti e provocatori e facendo scandalo. L’intento di Gippius era ribaltare l’idea tradizionale (e stereotipata) della poetessa, parodiando una femminilità imposta che veniva trasformata in una caricatura. La critica letteraria dell’epoca aveva infatti l’abitudine di leggere la produzione femminile attraverso stereotipi di genere: tale atteggiamento veniva chiamato “feticizzazione delle poetesse“. Per via di questi suoi comportamenti, anche Gippius veniva disgustosamente sessualizzatə. Giravano infatti molti pettegolezzi sulla sua vita sessuale, la biancheria intima o persino i suoi genitali.

Poesie sulla disforia di genere

Gippius scrisse molte poesie sul proprio rapporto con la femminilità e il corpo, dominato da un senso di angoscia e terrore. In queste poesie la femminilità (chiamata spesso “anima”) viene connotata in modo molto negativo, paragonata spesso a un animale feroce, infido e meschino che bracca continuamente il suo spirito. Ad esempio, la poesia Lei (1905) comincia così:

“Nella sua bassezza spregiudicata e miserabile,

lei è come polvere grigia, come ceneri mortali.

E muoio io per la sua inseparabilità,

questa sua affinità con me.”

 

(Traduzione di A. Gallia)

Soltanto nell’ultimo verso della poesia scopriamo che questa “lei” è l’anima del poeta. Essa viene paragonata a una serpe che lo stritola nelle sue spire: una femminilità dalla quale non riesce a separarsi e che lo soffoca.

Altro tema ricorrente è quello della creatività femminile, cui la procreazione è legata indissolubilmente. La creatività femminile viene spesso paragonata all’attività del cucito, vista come attività monotona, ripetitiva e angosciante. Ad esempio, nella poesia I ragni (1903) ad essa viene accostata l’immagine inquietante dei ragni che tessono una tela, instancabili, perché la natura non ha assegnato loro che questo lavoro:

“Sono in una stretta cella, in questo mondo.

E una cella stretta è squallida.

Ma nei quattro angoli ci sono

quattro ragni instancabili.

Sono carnosi, sporchi e abili.

E tessono, tessono, tessono…

E orribile è questo loro

monotono, incessante lavoro.”

 

(Traduzione di A. Gallia)

Nonostante questi componimenti vengano spesso citati per mettere in luce un’apparente misoginia di Gippius, secondo l’interpretazione di P. Hetherington, Gippius si sente soffocare dal fatto che debba essere ascrittə a un genere binario.

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